Note ubriache, contrappunti, anempatie, ovvero: la fecondità polisemica del conflitto suono-immagine (Allegro)

di Francesco Spè

Qualcuno l’ha definita amenità. Epiteto inopinatamente azzeccato. Perché certe cose, amene un bel po’, succedono solo a Scienze della Comunicazione. In quale altra facoltà si può trovare un docente che se gli proponi una tesi su *la musica che fa a pugni con le immagini a cui è associata* non ti manda affanculo ma ti risponde «ficata!»?, e un altro che se gli confidi del tuo nuovo improvviso interesse riguardo *come twitta il collettivo Wu Ming* facendoti scappare «sarebbe da farci la tesi», esclama entusiasta «Wow, cosa aspetti!»? (Nb1: i virgolettati non riproducono le reali dichiarazioni dei docenti in questione, ma le riassumono in maniera approssimativa ed enfatica; Nb2: pensandoci bene amenità del genere potrebbero, forse, essere ospitate anche da qualche altra parte). Del mio lavoro su @Wu_Ming_foundt ho già divulgato in rete qualcosa (l’intervista appendice a Wu Ming 1). In attesa – manca poco – di svelare il resto (ho il tempismo di un bradipo: la presenza di Wu Ming su twitter sta svoltando proprio in questi giorni, in più  i due staffettisti del collettivo periodicamente fanno “l’analisi del mezzo” senza bisogno del mio aiuto, lanciando metahashtag e creando e retwittando metatweet), propongo invece in questa illustre (?) e accogliente (!) sede una sorta di introduzione postuma all’altra mia tesi, quella triennale. Si chiama La musica nel cinema: l’effetto anempatico. Il caso “Happiness” di Todd Solondz. Sentite come suona.

  OVERTURE

Nelle vostre ferventi vite di fruitori audiovisuali, vi sarà capitato migliaia di volte di imbattervi in un accoppiata suono-immagine ove le note tendono a “commentare” (si prenda il termine con le apposite pinze) didascalicamente la scena a cui sono associate. Si tratta, del resto, del canovaccio tipico della colonne sonore di cinema e tv. Il francese Michel Chion, brillante teorico dell’ascolto (così ama definirsi, comunque è anche regista, critico, compositore …), lo chiama “effetto empatico”

Michel Chion (Creil, 1947)

D’assoluta empatia (termine spesso usato a sproposito ma che in contesto risulta invece estremamente efficace) è infatti la relazione che si instaura tra le due componenti audiovisuali quando esse vanno nella stessa direzione. Tale direzione comune può essere di natura dinamica-ritmica e/o semantica. Uhm … semantica? Qualcuno potrebbe storcere il naso. Una massima del filosofo Vladimir Jankelevitch afferma che «la musica non significa nulla e non esprime nulla, se non per associazione o convenzione; la musica non significa nulla e per tanto significa tutto… Si può far dire alle note quello che vogliono: non protesteranno1». Gli fa eco Igor Stravinskij (nota bene: il compositore russo non nutriva alta considerazione della musica del cinema, tanto da arrivare a definirla «semplice e pura tappezzeria che ha un unico scopo: arricchire il compositore2») quando afferma che «per sua natura la musica non può spiegare niente: né delle emozioni, né dei punti di vista, né dei sentimenti,  né dei fenomeni della natura. Essa non spiega che se stessa3». Il fatto che la musica non abbia una connotazione semantica a priori, non significa però che essa non sia capace di destare impressioni e suggestioni. Si pensi ad esempio a come le differenti tonalità possano determinare “l’umore” di un brano. La tonalità maggiore tende infatti a trasmettere allegria e trionfo (es. Marsigliese), quella minore malinconia e inquietudine (es. Requiem).

Se utilizzato in maniera ricercata e consapevole, l’effetto empatico può generare sincronismi stimolanti per occhi ed orecchie. La tecnica di sincronizzare minuziosamente segmenti musicali, effetti sonori  e rumori ad ogni elemento mimico dei personaggi e dell’azione visiva, prende il nome di “Mickey Mousing”. Si tratta di una sorta di estremizzazione raffinata dell’empatia audiovisuale, propria dei cortometraggi disneyani denominati Silly Symphonies. Skeleton dance  (1929), cartone animato diretto da Ub Iwerks e musicato da Carl Stalling, ne è efficace e irresistibile esempio.


Accade però frequentemente che l’effetto empatico sfoci in banali accoppiamenti audiovisuali, finendo per rendere mero contorno la componente sonora di una scena. Vedete e sentite questo: se avvertite stimolo al rigurgito, continuate a leggere per scoprire come invece si possa far sì che la musica incida davvero, creando dissonanti effetti di contrasto: è l’effetto anempatico, secondo la definizione dello stesso Chion.

Vi sono due modi con i quali la musica può creare una specifica  emozione, in rapporto con la situazione mostrata. Nel primo, la musica esprime direttamente la propria partecipazione all’emozione della scena, rivestendo il tono, il fraseggio adatti, il tutto evidentemente in funzione dei codici culturali della tristezza, della gioia, dell’emozione e del movimento. Possiamo allora parlare di musica empatica. Nell’altro, essa mostra al contrario una chiara indifferenza alla situazione, dispiegandosi in maniera uguale, impavida e ineluttabile, come un testo scritto. Questo secondo caso si può chiamare anempatico4.

Precisazione linguistica non schivabile: chi prima di Chion ha cercato di definire il contrasto audiovisivo tra suono e immagine, ha utilizzato altri espressioni di significato più o meno analogo (a dire il vero su quel “più o meno” si basa un intero capitolo della mia tesi, forse il più interessante), solitamente mutando termini da altri ambiti (come la retorica, la teoria musicale e la psicologia). Sergej Ėjzenštejn ad esempio, nei sue pionieristici scritti sul montaggio usava la parola contrappunto (dal latino punctum contra punctum, cioè punto contro punto, nota conta nota) per definire la non coincidenza tra componente visuale e componente sonora, secondo lui auspicabile e perfino necessaria.

Sergej Michajlovič Ejzenštejn (Riga, 1898 – Mosca, 1948)

Già nel 1928 (appena pochi mesi dopo la prima proiezione de Il Cantante Jazz, considerato il primo film sonoro mai realizzato), venne pubblicato l’articolo Il futuro del film sonoro –Dichiarazione, firmato anche dai registi russi Alexandranov e Pudovkin. Quel pezzo, che verrà poi ripreso e commentato in Teorie del Montaggio del 1937, è ricordato con l’eloquente epiteto “manifesto dell’asincronismo”.

[…] Solo l’utilizzazione del sonoro quale contrappunto in rapporto alla scena darà nuove possibilità allo sviluppo e al perfezionamento della regia.I primi lavori sperimentali del cinema sonoro devono essere indirizzati nel senso di una discordanza netta con i quadri visivi. Soltanto il “contrasto” darà la sensazione voluta, sensazione che condurrà poi alla creazione di un nuovo contrappunto orchestrale di quadri visivi e auditivi5.

Il poliedrico Siegfried Kracauer (giornalista, scrittore, sociologo, mass mediologo e teorico di cinema) in Theory of Film: The Redemption of Physical Reality (1960) parla invece di musica antinarrativa, una musica che «animi le immagini evocando gli aspetti più materiali della realtà, che crei una perturbazione tra sonoro e visivo e che disattenda le aspettative del pubblico, piuttosto che confermarle».

Per introdurre questo concetto, Kracauer ricorre ad un significativo e divertente aneddoto della sua adolescenza, raccontando ciò che gli capitava quando si recava in un vecchio cinema in cui i film muti venivano accompagnati da un pianista perennemente ubriaco:

La sua musica seguiva un corso proprio, del tutto imprevedibile.[…] Accadeva quindi alquanto spesso che suonasse gaie musiche quando, nel film a cui stavo assistendo, il conte incazzato sbatteva fuori di casa la moglie scostumata, e che una marcia funebre accompagnasse invece la scena celestiale della riconciliazione finale. Questa mancanza di relazione tra i temi musicali e l’azione che avrebbero dovuto commentare, mi sembrava deliziosa, in quanto mi faceva vedere la storia sotto una luce nuova e inesplorata, o, cosa più importante, m’invitava a perdermi in un paese irresistibilmente sconosciuto. Queste fortuite coincidenze mi davano l’impressione che, dopo tutto, esistesse una certa relazione, per quanto casuale che fosse, tra i monologhi del pianista ebbro e i drammi che avvenivano davanti ai miei occhi; una relazione che consideravo perfetta a causa della sua naturalezza e della sua indeterminazione. Non ho mai sentito accompagnamento più adatto.

Sigfried Kracauer (Francoforte, 1889 – New York, 1966)

Anempatie, contrappunti, musiche antinarrative … Espressioni evocative e colorate che hanno però bisogno di esemplificazioni pratiche per essere comprese fino in fondo. Beh, quando in passato mi è capitato di spiegare questi termini agli amici incuriositi dal criptico titolo della mia tesi, quasi tutti mi hanno interrotto dicendo qualcosa tipo: «ah, come in Arancia Meccanica!». Si vede che ho amici svegli. Se lo siete anche voi – non ne dubito – è probabile che durante la lettura di queste righe vi sia balzato in mente qualche scena tratta da film kubrickiani. L’ineguagliabile Stanley è infatti il regista che prima di tutti e più di tutti, ha osato (e saputo) sperimentare accostamenti audiovisivi irridenti e poco  convenzionali, ottenendo incredibili risultati espressivi. Ma per scoprire come funziona esattamente “la meccanica dello shock anempatico” in Kubrick e per scovare altri registi che hanno saputo dimostrare la potenziale fecondità del conflitto suono-immagine e la sua natura polisemica, dovete aspettare la prossima puntata. Come? Non può finire così? Avete ragione. Gli impavidi che sono arrivati alla fine del post meritano di assaggiare subito un amaro boccone di pura anempatia:

1 Citazione riportata in Jaume Radigales, Sobre la musica. Reflexions a l’entorn de la musica i l’audiovisual, Papers d’Estudi, Barcelona, 2002, traduzione mia.

2 Citazione riportata in Giordano Tunioli, Tappezzeria di Lusso, articolo del periodo musicale Musicaaa!, Settembre-Dicembre 1997, http://maren.interfree.it/musica9.pdf

3 Igor Stravinskij, Cronache della mia vita (1935), SE, Milano, 2006

4 Michel Chion, L’audivisione. Suono e immagine nel cinema (1990), Landau, Torino, 2001

5 Sergej Ėjzenštejn, Il futuro del film sonoro – Dichiarazione, rivista “Gisn Isscutsvan. 32, 18 luglio 1928



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16 risposte a Note ubriache, contrappunti, anempatie, ovvero: la fecondità polisemica del conflitto suono-immagine (Allegro)

  1. mattpumpkin ha detto:

    Gran bel post e interessante l’argomento della tesi.
    Anch’io sono un reduce da SdC con tesi amena.

    Mi permetto 2 notazioni: nel caso dello stomachevole accompiamento iperempatico (si può dire?) linkato, credo che la sensazione di nausea (per me) sia generata in gran parte proprio dalla vacuità narrativa dei frammenti selezionati; frammenti che forse, per uno spettatore assiduo della serie in questione, risulterebbero emotivamente efficaci, in quanto ricollegabili a un universo narrativo più vasto.
    Mentre nel mio caso la musica ‘sovrascrive’ le immagini, che divengono contorno di un sentimento già veicolato altrove (sonoro, purtroppo), nel caso di un appassionato del telefilm la canzone forse risulta più di contorno, e in qualche modo più efficace (per quanto comunque orrenda). In effetti è quanto scrivi tu, ma forse non per quanto riguarda lo stimolo al rigurgito. 😉

    Per quanto riguarda l’effetto anempatico, uno tra i casi più efficaci, per me, rimane questo (e ti ringrazio per avermelo riportato alla mente):

    ciao, m.

  2. El_Pinta ha detto:

    Penso che l’effetto di nausea relativo al video best love scenes di “Tempesta d’amore” sia molto collegato alla natura di cliché propria dei frammenti, una sorta di automatismo del sentimento che nasce, appunto, nel raddoppio che la musica effettua rispetto alle immagini e che le immagini effettuano rispetto alla musica.
    Tutto funziona alla perfezione, come-deve-funzionare, e per questo appare vuoto in quanto non problematico.
    Su questa questione, sul rapporto tra banda sonora e banda visiva ha scritto cose piuttosto interessanti Deleuze in “Che cos’è l’atto di creazione”

  3. pappocicc ha detto:

    bravissimi cazzo

  4. @mattpumpink
    Parto dalla fine: calzantissimo e cazzutissimo l’estratto de DogVille, fra l’altro è frequente che l’effetto anempatico scatti nei credits finali. Speravo proprio che chi leggesse il pezzo proponesse esempi e contro-esempi. Ai tempi della tesi (che nacque durante il mio erasmus a Barcelona – il corso di “musica i audiovisual” lo fecì là – quando divoravo film su film) ne trovai tantissimi ma ne ho inseriti relativamente pochi per motivi di spazio e perché ho preferito analizzare nel dettaglio un film specifico che ne fa ricorso copioso e stiloso (Happiness, 3a puntata). E chissà quanti ce ne sono a cui non ho pensato.
    Su “tempesta d’amore” … SI tratta di un soap opera che mi capita di vedere (e sentire) quando ceno con mia madre. La trama come immaginerai è davvero imbarazzante. Riguardo l’efficacia della musica verso lo spettatore appasionato della soap, non ci sono dubbi, hai ragione, è efficace rispetto all’obbiettivo che si prepone. Sta qui il problema. A cosa mira? Quando ho fatto notare a mia madre la stucchevolezza della musiche associate a quelle scene, lei mi rispose: “non sarà un granché, ma è la musica adatta!” (Nota bene; mia madre a differenza mia non si può definire un amante del paradosso … una volta in macchina mentre ascoltavo Rino Gaetano non apprezzò neanche un pò la frase “Mio Fratello è figlio unico” cominciando a borbottare contro me e contro la povera anima di Rino!). Ciò che mi fa schifo della musica banalmente empatica è proprio questo: la sua ridondanza la riduce a contorno, la rende davvero poco più che “tappezzeria” come dice Stravinskij. In un altro corso, quello di Acustica, il prof oltre a darci qualche dritta su pro-tools e parlarci della fisica del suono (parte poco amena!) ci ha consigliato la lettura de “paesaggio sonoro” di Schafer. Schafer parla della musica Moozak (la musica di sottofondo dei luoghi pubblici) definendola “insipido ciarpame schizofonico” che causa “audioanelgesia”: l’uso del suono come calmante, prodotto per un ascolto accondiscendente. Mi tengo i contrappunti di Sergej 😉

  5. jumpinshark ha detto:

    @coltissimitutt*
    complimentandomi con il prode giovane Francesco,ecco un simpatico nanedotto: per puro caso (trasferimenti di dati da HD vecchi a nuovi) ieri ho fatto seratona Eisenstein, di fila Sciopero, Corazzata e Ottobre. Ora a parte l’ultimo film che ho visto\ascoltato con musiche originali di Shostakovich (oh qua siamo alla buona e si trasliterra ad babbum), ho dovuto silenziare il sonoro degli altri due. Sciopero aveva colonna sonora interessante, ma la sentivo per ispirazione esterna all’opera (non era comunque Prokofiev e nemmeno Shostakovich, presenti in talune versioni). La Corazzata aveva musicaccia insopportabilmente “romantica” e mielosa per quasi tutto il film (scalinata di Odessa eslcusa), che manco in un worst di Fausto Papetti. Antisinestesia micidiale.
    In generale, la discussione e la ricostruzione filologica delle musiche di corredo del cinema muto è tema di grande importanza, che pochi si filano.
    [scusate il commento incongruo e inutile, ma volevo presenziare a ogni costo, per omaggio al baldo giovinetto]

  6. mattpumpkin ha detto:

    @akaOnir: Il tuo riferimento al dialogo con tua madre, mi ha fatto pensare che potrebbe essere interessante tentare di capire quanto e come incidano, ad un secondo livello di contrappunto, oltre a quello strettamente collegato al legame immagini/melodia, altri fattori culturali.

    In riferimento ai titoli di coda di Dogville, per esempio, ho notato che il testo della canzone di Bowie sembra quasi annullare a sua volta il contrappunto creato dal ritmo della melodia (allegro) in riferimento alle desolanti fotografie di un sogno americano divenuto incubo. Si tratta, in effetti, di una visione à-la-Dylan di un’America attraversata in una visione che sembra oscillare tra l’onirico e il profetico.

    […]
    Ricordate, il vostro Presidente Nixon?
    Ricordate, i conti che dovete pagare?
    O anche solo ieri?
    Sei stato un anti-Americano?
    Solo tu e il tuo idolo cantate in falsetto
    Del cuoio, cuoio dovunque, e
    Neanche un mito rimasto dal ghetto
    Bene, bene, bene, ti porteresti un rasoio
    In caso, solo in caso di depressione?
    Siederesti sulle mani in un autobus di sopravvissuti
    Arrossendo davanti a tutti gli Afro-ebrei
    Questo non è simile all’ amore?
    Be’, non è amore da poster?
    Be’, quella non è Barbie
    I suoi cuori sono stati spezzati proprio come il tuo?

    http://www.velvetgoldmine.it/testi/YoungAmericans.html

    Per me, che l’inglese non lo mastico neppure, ascoltarla mi fa più o meno lo stesso effetto che potrebbe farmi ascoltare “Living in America” cantata da James Brown. Per un anglofono, o per un profondo conoscitore della poetica di Bowie, probabilmente l’effetto anempatico risulterebbe differente da quello che ricavo io, chissà se più o meno efficace.

    @jumpinshark: Mi è capitato di assistere a una proiezione di Metropolis accompagnata da un’esecuzione al piano live, a quattro mani, di non so quale composizione. L’effetto, comunque sorprendente, mi è parso perlopiù utile a predisporre l’effetto immersivo nel ritmo delle immagini. Fatico, in realtà, a immaginarmi un accompagnamento
    anempatico nel cinema muto, che non derivi da uno svarione (il tuo caso con la Corazzata) o da ubriachezza del pianista (il caso di Kracauer).
    Il problema è forse che, all’origine, l’accompagnamento dei film muti non prevedeva uno studio preparatorio particolare in riferimento alle varie scene. Le teorie di Ejisenstein arrivarono poco prima che il sonoro cambiasse le carte in tavola.
    Ma potrei sbagliarmi.
    Comunque ti segnalo questo festival, che nel recupero del cinema delle origini sta facendo un gran bel lavoro: http://www.cinetecadelfriuli.org/gcm/default.html

    @all: per quanto riguarda il gioco di scovare degli esempi di accostamenti anempatici, ammetto che la cosa mi sta prendendo. Rilancio col secondo:

    m.

  7. El_Pinta ha detto:

    Allora, articolo un po’ di risposte in un unico commento per comodità. La questione della ricostruzione delle partiture musicali che accompagnavano i film muti è importante, ma non va dimenticato che nella maggior parte dei casi era l’improvvisazione a farla da padrone o c’erano dei repertori standard dato che il regista non aveva disposto alcuna indicazione in merito.
    In generale è possibile creare musiche per cinema muto che lavorino in direzione anempatica, ma molto dipende dalla natura del film, più è “narrativo” più è difficile scrivere musiche che lavorino contro le immagini. A Rimusicazioni del 2010 un lavoro interessante di questo genere venne fatto su Combat de Boxe, film surrealista belga (btw se siete interessati all’archivio di 11 edizioni di festival esclusivamente dedicato alla rimusicazione di film muti basta chiedere al sottoscritto; btw reloaded ogni primo venerdì del mese facciamo un evento live musica+film, se capitate in zona fate fischio).
    Quanto ad Eisenstein (trasilittero pure io alla maniera di Jumpin) è vero che il suo lavoro teorico si dipana nel momento in cui si verifica il passaggio dal muto al sonoro, ma è altrettanto vero che la dimensione sonora del film è già riconosciuta e presente prima che la tecnica renda possibile la sonorizzazione in termini pratici. Eisenstein recupera tutta questa riflessione nel concetto di montaggio verticale che è ancora insuperato come criterio estetico. Anche in quel caso c’è una spinta decisiva verso un uso del sonoro in termini di contrappunto.

  8. A.driana ha detto:

    avendo già parlato @el_pinta e @jumpinshark mi sento un po’ come direbbe Freud, “inibita nel mio fine”, tenterò d scrive qualcosa come gratitudine a @akaOnir.
    ripeterò (di quella cosa assai ripetuta) che nell’origine era il verbo, anche se la narrativa forse non nasce ne anche lì, però mi piace pensare che “nominare” no è effettivamente un atto divino, ci hanno raccontato (gli stessi) che Adamo è con lui che inizia a dare nome alle cose, ecco alle cose, ma il suono è “una cosa” ha una categoria… io penso di no.
    (se mi permettete questo divario -e concludo- alla nascita di noi umani, il suono è già e con fatica -se va bene- 14 o 16 messi dopo… cosa si fa: collegare un_suono_proprio a un oggetto altrui….)

  9. @jumpin
    Grazie per il prode, grazie per il baldo, grazie per il giovane (è anche per il pigrissimo via twitter, unico aggettivo che hai azzeccato. Qualcuno infatti non ti lascierebbe passare neanche il giovane: ho già superato il quarto di secolo e leggevo proprio oggi un offerta di lavoro preclusa agli over 24!). Lodevole inoltre lo sfrontato tentativo di un mero informatico di intromettersi in una discussione tra esimi “scienziati” 😉

    @adrian.a
    La polisemia della tua prosa fa sbiadire quella della musica anempatica e mi lascia senza parole 😉 – Se dovesse laurearmi un’altra volta, proverei a fare una tesi su “La meccanica dello shock polisemico generato dalla prosa e dal twitting de @mots_et_choses”

    @mattpumpkin
    quanti spunti giapster Matt! Spunti che mi pare vadano nella direzione di restituire la complessità del rapporto suono immagine, come è giusto che sia. La variabili sono tante, spero di riuscire a farle emergere con gli esempi pratici delle prossime puntate. Nel mente, visto che sono pigrissimo, ti copio incollo un lacerto di tesi:
    “La divisione dogmatica tra empatia ed anempatia, al momento di definire una sequenza audiovisiva con uno dei due aggettivi, può risultare semplicistica: una non coincidenza assoluta (così come una coincidenza assoluta) tra suono e immagine è praticamente impossibile, in virtù delle differenze di linguaggi, regole, forme, strutture tra il livello sonoro e quello visivo. inoltre occorre considerare il carattere relativo del processo interpretativo. E non mi riferisco esclusivamente alle soggettive percezioni di ogni singolo spettatore, ma anche a cosa si decide di prendere in considerazione: una stessa sequenza può essere definita tanto come anempatica che come empatica a seconda,
    ad esempio, che si consideri l’aspetto dinamico-ritmico o quello prettamente semantico (ricordiamoci le pinze). Infine all’interno di una medesima sequenza vi è spesso un’ alternanza tra i due effetti audiovisivi: può bastare un cambiamento di inquadratura o un semplice movimento di macchina per poter alterare completamente il legame suono – immagine”.

    Su “brasil” altra coincidenza: ieri sera ne discutevano due miei amici (@marcoraccu e @Camposh85) che lo hanno visto insieme pochi giorni fa, (io lo vidi diversi anni fa e mi piacque molto anche se ne ho un ricordo svocato). iI film inizialmente li aveva delusi ma ripensandoci vi hanno trovati secondi significati che glielo hanno fatto rivalutare, anche riguardo le musiche. magari li sprono ad inserirsi nella discussione (sono due più pigri di me!).
    Sulla track che chiude “dogvile” mi era venuta anche me voglia di controllare il testo, la sorta di contrappunto empatico
    che genera è presente anche in Happiness, vedrai). E comunque alla domanda marzulliana rilanciata anche su twitter “la musica anempatica può essere empatica?” beh rispondo che sicuramente questo post vive tale paradosso: voleva essere “a empatia 0” ma finisce per strizzare continuamente l’occhio al lettore per catturare la sua empatia 😉

  10. mattpumpkin ha detto:

    Pur continuando a leggee tutti con grande interesse, e ringraziandovi per gli spunti e le spiegazioni offerte, continuo autisticamente col gioco dell’anempatia da ritrovare.
    Ora ho riscoperto questa scena davvero perturbante:

    m.

  11. El_Pinta ha detto:

    Bene, finalmente riesco a prendermi un paio di minuti per contribuire con un po’ di materiale a questa bella discussione. Ispirazione notturna mi ha riportato alla mente questa sequenza

    Sfortunatamente manca la parte iniziale che è fondamentale per capire il meccanismo. In ogni caso, il personaggio che appare nei primi secondi è un disoccupato che è stato ricoverato per una serie di violenti attacchi di panico. L’uomo racconta che la prima volta che è stato colpito dl disturbo si trovava al volante della sua auto e alla radio avevano passato “Wouldn’t It Be Nice” dei Beach Boys, quel pezzo allegro e positivo gli era andato in loop nel cervello facendolo crollare. Moore monta la canzone su immagini degli edifici abbandonati di Flint dopo la chiusura degli stabilimenti GM. Qui il meccanismo è interessante perché la musica si origina da una testimonianza e l’anempatia non è soltanto generata dall’incontro/scontro tra immagini e musica, ma prende vita dal racconto dell’uomo che da testimonianza privata diventa narrazione comune e condivisa…

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