Operai d’anteguerra ⁵

di Dimitri El Madany

Segue da qui. In questa puntata: il riformismo di Turati; la fondazione dell’Avanti!; i moti del 1898; Bava Beccaris fa sparare sulla folla a Milano; ostruzionismo delle sinistre in Parlamento; per la prima volta il PSI vota la fiducia al governo & much more!

Il generale Fiorenzo Bava Beccaris

Nonostante l’attacco dello Stato agli organismi sindacali e socialisti continuasse indefesso, il PSI dette segnali di ripresa. Riunitisi clandestinamente in quel di Parma nel gennaio del 1895, i dirigenti socialisti misero in discussione la linea che era stata ereditata dal POI e seguita fino a quel momento, ovvero l’intransigente autonomia elettorale. La repressione crispina rendeva difficile, quando non addirittura impossibile, l’azione politica dei socialisti, i quali, di conseguenza, iniziarono a prendere in considerazione la possibilità di un’alleanza con i partiti radicali e repubblicani. Questa era l’idea di Turati, che aveva già definitivamente accantonato l’autonomismo e l’esclusivismo operaista. Eppure, a Parma il partito adottò una linea che potremmo definire mista: correre da soli alle elezioni, ma con la possibilità di appoggiare candidati democratici in caso di ballottaggio. Un’altra importante decisione presa a Parma fu quella di organizzare il partito non più sulla base delle società operaie, bensì sulle adesioni personali: ciò era reso necessario dal fatto che la repressione aveva colpito moltissime società federate, alcune delle quali erano scese a patti con le autorità, ripudiando l’adesione al PSI. Un tale cambiamento organizzativo si sarebbe in seguito dimostrato positivo per la definizione politica del PSI, che fino a quel momento aveva contenuto al suo interno società operaie di natura diversa, dalle mutue alle cooperative, dalle leghe di resistenza ai circoli di studio.

Se il PSI andava lestamente rifiorendo, più lenta fu la ripresa delle organizzazioni economiche di resistenza. Il biennio 1895/96 conobbe un periodo di relativa stasi della conflittualità sociale, che fino alla repressione crispina si era dimostrata invece molto elevata1. Il nuovo governo Rudinì tentava in tutti i modi di ostacolare la ripresa degli organismi di base del proletariato, specie nelle campagne. In questa fase era ancora il partito ad esercitare la funzione di guida dei movimenti rivendicativi delle leghe di resistenza: ancora non si era delineata una differenziazione netta tra partito ed organizzazioni sindacali, anche perché le camere del lavoro – che nell’estate 1893 avevano costituito la Federazione nazionale delle camere del lavoro – solo in parte andavano assumendo un carattere realmente sindacale, che andasse oltre le semplici funzioni di collocamento.

Il Natale del 1896 vide nascere il quotidiano dei lavoratori italiani, l’Avanti!. L’organo ufficiale del PSI, diretto da Leonida Bissolati, conobbe da subito una tiratura altissima2. Un successo per il partito, che vide confermata la propria forza dalle elezioni del marzo 1897, nelle quali raccolse oltre il 10% delle preferenze, accrescendo i consensi in tutte le regioni d’Italia, eccetto la Sicilia. D’altra parte, la lotta di classe andava acuendosi in tutto il Paese, e nell’estate del 1897 sfociò in moltissimi e duraturi scioperi. Particolarmente intensi furono quelli dei braccianti del Ferrarese e di Molinella. Il governo naturalmente appoggiò la resistenza padronale, sciogliendo le leghe di resistenza ed arrestandone gli organizzatori. Ciò nonostante, parecchie agitazioni ebbero successo, ottenendo aumenti salariali e riduzioni dell’orario di lavoro. Di fronte a tali mobilitazioni, il PSI dichiarò (settembre 1897, congresso di Bologna) l’inscindibilità di lotta economica ed azione politica.

Leonida Bissolati

Dopo l’inverno la situazione italiana precipitò. La primavera 1898 fu percorsa da un’ondata di tumulti in tutta Italia, che partirono dalla Romagna e dalle Puglie, per dilagare poi nelle Marche, in Campania, in Toscana ed in altre regioni. Iniziati come dimostrazioni contro il caropane, i disordini assunsero in molti centri carattere politico, anche in risposta alla durissima reazione da parte delle forze dell’ordine. Il culmine fu raggiunto a Milano: la repressione poliziesca, già molto pesante i primi giorni, divenne cieca e sanguinaria dopo la proclamazione dello stato d’assedio. Il generale Fiorenzo Bava Beccaris, comandante del corpo d’armata cittadino, provocò una vera e propria strage3, arrivando persino a cannoneggiare un convento di cappuccini, sospettato sagacemente di essere il quartier generale degli insorti. Lo stato d’assedio venne esteso alle province di Firenze, Livorno e Napoli, gli arresti furono parecchie migliaia. Nonostante la dirigenza socialista non avesse alcun progetto sovversivo, i tumulti servirono all’autorità per scagliare tutta la forza dell’apparato repressivo dello Stato contro socialisti, anarchici, repubblicani e radicali. Esponenti di spicco del PSI, tra cui Turati, Lazzari e la Kuliscioff, vennero arrestati e condannati da tribunali militari a lunghissime detenzioni; a Roma la sede dell’Avanti! fu invasa dalla polizia, che arrestò tutti i presenti; altre 50 testate socialiste vennero sciolte, 21 camere del lavoro su 25 esistenti furono chiuse, numerosissime associazioni sindacali mutualistiche vennero dissolte, lo stesso PSI fu sciolto d’imperio. Sbandierando all’opinione pubblica il pericolo “rosso” di una cospirazione rivoluzionaria – pericolo di fatto inesistente, ma percepito come reale da larghi strati della borghesia italiana –, il governo giustificava la sua precisa e spietata operazione reazionaria contro il movimento operaio.

Alla repressione armata seguì quella legale: il generale Pelloux, neopresidente del consiglio, presentò alla seduta camerale del 22 giugno 1899 progetti di legge pesantemente restrittivi delle libertà personali, di associazione e di stampa. Il gruppo socialista e l’intera Sinistra parlamentare iniziarono un serrato ostruzionismo4, che nell’arco di un anno costrinse il governo a ritirare i decreti. L’amnistia del gennaio 1900 consentì ai dirigenti socialisti di tornare all’opera. Nel luglio si riorganizzava la Federazione delle Camere del Lavoro, ed in autunno il PSI tenne a Roma il suo VI congresso nazionale. In tale occasione, si affermò come maggioritaria una tendenza riformista, ispirata da Turati, peraltro già vista nel precedente raduno bolognese del 1897. Essa era il frutto italiano della polemica sul revisionismo apertasi sul finire del secolo in seno alla socialdemocrazia tedesca. I riformisti erano convinti della praticabilità di una cosiddetta “via di mezzo”, in cui il socialismo non era più il fine immediato, ma si tramutava in una prospettiva di lungo periodo. L’obiettivo del PSI rimaneva l’instaurazione del nuovo ordine socialista, ma il suo perseguimento veniva giudicato dipendente da fattori economico-sociali che l’Italia dell’epoca ancora non presentava: una grande espansione del modo di produzione capitalistico e la conseguente formazione di un massiccio proletariato di fabbrica. In attesa di queste basi indispensabili alla rivoluzione, il partito doveva tenersi sulla strada delle riforme. Le repressioni inoltre avevano dimostrato la necessità per il PSI di allearsi con i partiti borghesi radicale e repubblicano5, al fine di combattere la reazione e salvaguardare le libertà fondamentali. Al congresso di Roma, Turati e la Kuliscioff formularono compiutamente la linea strategica riformista: i due leader dichiararono che la rivoluzione socialista sarebbe stata il frutto spontaneo di un graduale processo di sviluppo economico, politico e sociale del paese, e non il risultato dell’atto insurrezionale di una minoranza bellicosa. Di fatto si trattava della rinuncia a dotare la classe operaia di una concezione alternativa di potere, il che alimentava una pratica rivendicativa limitata all’immediato, priva di quell’ampio respiro che poteva invece avere la costante tensione alla rivoluzione.

Il porto di Genova in una cartolina del 1900

Il 19 dicembre 1900 il prefetto di Genova, senza precisi ordini dal governo ma spinto dal padronato più retrivo, sciolse la Camera del lavoro cittadina. Il giorno seguente Genova si svegliò in sciopero. Iniziata dai portuali, l’azione coinvolse tutte le categorie lavorative, paralizzò la città e minacciò di estendersi alla provincia, dimostrando l’impotenza delle autorità di fronte ad una mobilitazione operaia compatta e disciplinata. Dopo tre giorni di sciopero, il governo si arrese e ritirò il decreto prefettizio. La vittoria operaia dimostrava allo Stato la necessità di un mutamento di rotta, in direzione del riconoscimento del diritto di associazione sindacale. Di tale rinnovamento si fece portatore Giovanni Giolitti, allora ministro dell’interno nel gabinetto Zanardelli. Giolitti propose la neutralità dello stato nei conflitti del lavoro e la tutela delle libertà sindacali e di sciopero, del resto già concesse dalla legislazione vigente. Lo scopo di Giolitti era inserire il movimento operaio, la cui forza non poteva più essere ignorata né repressa, all’interno del sistema politico ed istituzionale italiano; nel realizzare tale obiettivo, Giolitti mirò ad appoggiarsi alla tendenza riformista del PSI, favorevole ad un governo che tutelasse e possibilmente allargasse i diritti dei lavoratori. Ma questo comportava per Giolitti la necessità di introdurre un nuovo costume nell’atteggiamento tradizionale della forza pubblica di fronte ai conflitti di lavoro: i prefetti erano abituati – da decenni, forse da sempre – a mettersi sistematicamente al servizio del padronato, mediante una prassi brutalmente repressiva nei confronti delle organizzazioni dei lavoratori. Nonostante ciò, nella gigantesca ondata di scioperi6 che travolse gli inizi del Novecento italiano, un solo grave incidente turbò la riscossa operaia: il 27 giugno 1901 a Berra Copparese, nei pressi di Ferrara, un contadino che chiedeva la parola ricevette invece tre colpi di rivoltella. Alla fine i morti furono tre, molti di più i feriti.

L’evento, che restò comunque isolato, mise in crisi la corrente riformista, che deplorò l’eccidio senza però accusare in governo. Turati ed i suoi avevano infatti intrapreso una linea di appoggio al gabinetto Zanardelli, a cui il gruppo parlamentare del PSI votò la fiducia il 15 febbraio 1901, rompendo così un’antica e fino ad allora inviolata tradizione socialista. Tale politica di sostegno all’esperimento liberale giolittiano, intrapresa onde prevenire il ritorno della reazione, venne definita da Turati stesso “ministerialismo”. Essa non poté che destare malumore in quella che era la base effettiva del PSI, la quale in passato aveva condotto molte dure lotte contro quel governo che ora vedeva sostenuto dai suoi stessi eletti. Pieno favore alla linea riformista venne invece dagli organizzatori sindacali, ai quali parve un’ottima idea sostenere un governo che non intralciasse l’associazionismo.

Inizialmente, il contrasto tra ministerialisti ed intransigenti fu evitato dalla fedeltà del governo ai suoi propositi liberali: nonostante gli scioperi toccassero livelli senza precedenti, Giolitti rifiutava di mettere la forza pubblica al servizio del padronato. L’eccidio di Berra Copparese assestò però un duro colpo alla linea turatiana: un mese dopo Berra, la federazione milanese del PSI passò nelle mani della fazione intransigente. Turati e la Kuliscioff se ne andarono allora dal partito, dando vita all’Unione socialista milanese. Entità effimera, l’Unione rientrò dopo pochi mesi nei ranghi del PSI. Pur conclusasi con un nulla di fatto, questa scissione-lampo rappresentava comunque il primo seme di una grave crisi del socialismo riformista.

NOTE:

1 Dei numerosi scioperi imponenti scoppiati dal 1890 in tutta Italia – a Torino Milano Genova Napoli Verona Padova Vicenza Venezia Pisa Pontedera Favara Molinella… – ricordiamo soltanto quelli stroncati nel sangue: il 20 maggio 1890 la forza pubblica aprì il fuoco su braccianti e mondine in sciopero presso Ravenna; il 20 gennaio 1893 a Caltavuturo (Palermo) durante una manifestazione di lavoratori la polizia lasciò in terra 11 uomini e ne ferì 40.

2 Oltre 50.000 copie, notevole per l’Italia dell’epoca.

3 Ottanta le vittime secondo le stime ufficiali, di certo assai inferiori alla realtà. Poche settimane dopo i fatti di Milano, il re conferì a Bava Beccaris la croce di grand’ufficiale dell’Ordine militare di Savoia, meritato premio per il servizio reso alla patria…

4 I deputati socialisti giunsero perfino a rovesciare le urne in sede di voto.

5 Alleanza che alle amministrative del 1899, in pieno clima ostruzionistico, aveva conseguito un grande successo, conquistando importanti comuni: Milano, Torino, Alessandria, Parma, Firenze ed altri.

6 Nel 1900 gli scioperi in Italia furono in totale 410, nel 1901 salirono a 1671. Scioperi generali cittadini si verificarono, oltre che a Genova, a Torino e a Firenze.    

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