Echi di bombe atomiche nella cultura pop giapponese

di Flavio Pintarelli

La crisi nucleare che il Giappone sta affrontando in queste settimane ha contribuito a sollevare nuovamente forti dubbi sull’opportunità di intraprendere ulteriormente scelte energetiche basate sulle tecnologie di fissione dell’atomo.

A soli 66 anni dagli attacchi di Hiroshima e Nagasaki, il paese del Sol Levante si trova ad affrontare ancora una volta i rischi connessi al nucleare. Certo gli scenari sono diversi, quello del 1945 fu un atto di guerra, mentre oggi la crisi è stata causata da una catastrofe naturale. Ciò che, purtroppo, non è cambiato è la pericolosità intrinseca di una fonte di energia difficilmente controllabile di fronte all’arbitrio ed all’errore umano, ma anche di fronte ad eventi catastrofici difficilmente prevedibili, ma di sicuro non impossibili.

Tuttavia non si ha intenzione di discutere qui dell’opportunità di costruire centrali nucleari in un paese, l’Italia, che soprattutto dal punto di vista culturale sembra incapace di gestire crisi meno pericolose di quella a cui stiamo assistendo in Giappone. C’è chi ha già fatto questo tipo di considerazioni molto meglio di quanto non potremmo fare noi.

Quello che ci interessa mettere in evidenza in questo post è il ruolo particolare che il nucleare occupa, a partire dal dopoguerra, nella cultura pop giapponese. Troppo spesso, nei confronti della cultura pop agisce un pregiudizio molto forte che la identifica con prodotti massificati e privi di qualsiasi spessore. Tuttavia chiunque abbia dimestichezza con certa sociologia sa che questa visione è spesso frutto di scarsa conoscenza tanto dei fenomeni che si criticano, quanto delle pratiche che si sviluppano intorno a questi fenomeni.

Il trauma degli ordigni atomici sganciati dall’aviazione americana sulle città di Hiroshima e Nagasaki ha avuto, e non poteva essere altrimenti, un impatto fortissimo sull’immaginario della nazione giapponese. La cultura pop non ha fatto eccezione ed anzi ha contribuito, accanto alle riflessioni degli intellettuali, a rielaborare il trauma rendendolo più sopportabile senza per questo negarlo.

I film della serie Godzilla possono essere presi da esempio di come la cinematografia di genere sia riuscita a captare lo shock degli attacchi nucleari, rielaborandolo in una narrazione che, solo apparentemente, sembra essere slegata dagli eventi che ne costituiscono il sostrato profondo.

Il caso su cui vorremmo soffermarci, perché ci sembra particolarmente interessante, è però tratto da un manga, il capolavoro di Akira Toriyama Dragon Ball e, nello specifico, il suo spin-off Dragon Ball Z. Per chi non lo conoscesse, Dragon Ball è un manga di arti marziali che racconta le avventure di Son Goku, un bambino la cui vicenda ricorda da vicino quella di Superman. Allevato sulla terra in seguito alla distruzione del suo pianeta, il Sayan Goku affronta una lunga serie di avventure. Nella prima parte della serie, che corrisponde all’infanzia di Goku, la vicenda ruota intorno alle sette magiche sfere del drago, artefatti potentissimi in grado di evocare un drago, capace di esaudire qualsiasi desiderio e per questo ambite dai malavagi e dai potenti della terra. Nella seconda parte della serie, che corrisponde grosso modo all’età adulta del protagonista, la vicenda ruota intorno alle battaglie combattute da Goku contro tutta una serie di potenti avversari decisi ad impadronirsi del pianeta per i motivi più diversi.

Uno dei plot più frequenti, specialmente nella seconda parte della serie, può essere descritto pressappoco in questi termini: messo alle strette sul piano del combattimento onorevole, il villain di turno minaccia la distruzione del pianeta, di solito attraverso una spaventosa emissione di energia capace di generare un’esplosione di proporzioni apocalittiche.

Il riferimento alle vicende di Hiroshima e Nagasaki appare immediatamente chiaro, specialmente alla luce di quella lettura dell’evento secondo cui gli Stati Uniti, non potendo più sostenere economicamente lo sforzo bellico contro il Giappone, avrebbero deciso di ricorrere agli ordigni nucleari, incuranti delle vittime civili, per costringere l’avversario alla resa. Una lettura che sottolinea come gli Usa, impossibilitati a continuare la lotta onorevolmente (cioè nell’ambito del codice bellico), abbiano deliberatamente scelto di colpire la popolazione civile ed inerme per costringere l’avversario alla resa.

Questo esempio dimostra, ancora una volta, la capacità della cultura pop di assorbire e rilanciare gli echi di un evento storico, accogliendolo in forme inattese all’interno dei suoi prodotti.

Informazioni su Flavio Pintarelli

È uno scrittore e marketing strategist. Si occupa di cultura critica, digitale e visiva. Ha scritto reportage, saggi e racconti per Internazionale, Domus, Not, Il Tascabile, Ultimo Uomo, Prismo, The Towner, Domani, Ludica, Singola, Manarot, La Foresta e altre riviste. Ha pubblicato due saggi: Su Facebook (:duepunti, 2013) e Stupidi giocattoli di legno (Agenzia X, 2014); una raccolta di racconti: Cronache della Metropoli (Ledizioni, 2019); ha partecipato a diverse antologie e raccolte di saggi.
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